L’edizione 2022
La 59esima esposizione di Arti visive dal titolo “Il latte dei sogni”, negli spazi del Padiglione centrale dei Giardini e dell’Arsenale di Venezia, esporrà le opere di 213 artisti provenienti da 58 Paesi
di Gerardo Pelosi
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Sarà un’edizione tutta all’insegna dell’umanità minacciata, delle metamorfosi dei corpi e delle relazioni tra individui e tecnologie la 59° esposizione di Arti visive dal titolo “Il latte dei sogni” che negli spazi del Padiglione centrale dei Giardini e dell’Arsenale di Venezia esporrà le opere di 213 artisti provenienti da 58 Paesi. Ma la rassegna presentata ieri dal presidente della Biennale Roberto Cicutto e dalla curatrice Cecilia Alemani si caratterizzerà anche per la selezione di alcuni giovani artisti provenienti da Biennale College, per il rigoroso rispetto della neutralità carbonica in forza dei principi della transizione verde e per l’avvio dei nuovi progetti di ampliamento degli spazi dell’Arsenale da destinare all’archivio storico con i fondi messi a disposizione dal Pnrr.
Il titolo della mostra “Il latte dei sogni” è preso da un libro di favole dell’artista surrealista Leonora Carrington (1917-2011) in cui si descrive un mondo magico nel quale la vita viene reinventata attraverso l’immaginazione e nel quale è concesso cambiare e trasformarsi.
Cicutto: si risponde alla domanda: “Come sta cambiando la definizione di umano”?
l presidente della Biennale Cicutto ha ricordato come la Alemani nel suo lavoro di ricerca sulle nuove tendenze delle arti visive si sia posta alcune domande. “Fra queste, – ha detto Cicutto – una in particolare mi sembra riassumerle: “Come sta cambiando la definizione di umano?. Il suo lavoro comincia con l’individuazione di un’ispiratrice, Leonora Carrington, dalla cui arte sviluppa filoni e temi interpretati dagli artisti, che raccontano “la rappresentazione dei corpi e le loro metamorfosi; la relazione tra gli individui e le tecnologie; i legami che si intrecciano tra i corpi e la Terra”.
Compagni di viaggio da mondi diversi, convivenze sorprendenti
Un modo, secondo il presidente della Biennale che cerca di unire le diverse contemporaneità che la Biennale Arte ha raccontato in centoventisette anni di vita. Approccio già presente nella mostra Le Muse inquiete realizzata dall’Archivio Storico delle Arti Contemporanee (ASAC) nel Padiglione Centrale ai Giardini, curata da tutti i Direttori dei sei Settori artistici della Biennale (Architettura, Arte, Cinema, Danza, Musica, Teatro) e coordinata dalla stessa Cecilia Alemani nel 2020. La Mostra di Cecilia Alemani, osserva Cicutto «immagina nuove armonie, convivenze finora impensabili e soluzioni sorprendenti, proprio perché prendono le distanze dall’antropocentrismo; è un viaggio alla fine del quale non ci sono sconfitti, ma si configurano nuove alleanze generate dal dialogo fra esseri diversi (alcuni forse prodotti anche da macchine) con tutti gli elementi naturali che il nostro pianeta (e forse anche altri) ci presenta. I compagni di viaggio, le artiste e gli artisti, che si aggregano alla Curatrice provengono da mondi molto diversi fra loro».
Biennale College: selezionati quattro artisti anche per Arti visive
Cicutto ha anche sottolineato come le opere di alcuni giovani provenienti da Biennale college per Arti visive saranno esposti alla pari degli altri artisti. «Il frutto delle attività dei College – ha precisato Cicutto – è il riconoscimento sui palcoscenici e sugli schermi della Biennale del valore di chi vi partecipa, che spesso viene ricompensato da un inserimento stabile nel mondo del lavoro. Sembrava difficile realizzarlo anche per Arte. Ma invece tre artiste e un artista, scelti fra i molti candidati da tutto il mondo, vedranno le loro opere esposte fuori concorso nell’Esposizione Internazionale, con uguale dignità rispetto ai loro colleghi già affermati».
Alemani: non una mostra sulla pandemia ma su nuove forme di coesistenza
La mostra, ha spiegato la Alemani, nasce dalle numerose conversazioni intercorse con molte artiste e artisti in questi ultimi mesi, non è una mostra sulla pandemia ma registra inevitabilmente le convulsioni dei nostri tempi. In questi momenti, come insegna la storia della Biennale di Venezia, l’arte e gli artisti ci aiutano a immaginare nuove forme di coesistenza e nuove, infinite possibilità di trasformazione. «La mostra – ha detto la Alemani – è stata concepita e realizzata in un periodo di grande instabilità e incertezza. La sua genesi ed esecuzione hanno coinciso con l’inizio e il continuo protrarsi della pandemia di Covid-19 che ha costretto La Biennale di Venezia a posticipare questa edizione di un anno, un evento che, sin dal 1895, si era verificato soltanto durante la Prima e la Seconda guerra mondiale. Che la mostra possa aprire è di per sé un fatto straordinario: non tanto il simbolo di una ritrovata normalità, quanto piuttosto il segno di uno sforzo collettivo che ha qualcosa di miracoloso. In questi interminabili mesi passati di fronte a uno schermo mi sono chiesta più volte quale fosse la responsabilità dell’Esposizione Internazionale d’Arte in questo momento storico e la risposta più semplice e sincera che mi sono riuscita a dare è che la Biennale assomiglia a tutto ciò di cui ci siamo dolorosamente privati in questi ultimi due anni: la libertà di incontrarsi con persone da tutto il mondo, la possibilità di viaggiare, la gioia di stare insieme, la pratica della differenza, della traduzione, dell’incomprensione e quella della comunione».
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