Roma, 27 gennaio 2022 – C’è chi li chiama congressi anticipati e chi li definisce regolamenti di conti. Ma quel che è certo è che il Grande gioco del Quirinale è diventato “anche” l’occasione per duelli, sgambetti, prove di fedeltà, competizioni interne ai partiti. Esattamente come accade in un congresso, ma anche come succede quando vengono a galla linee politiche e destini personali confliggenti. Terzo giorno di elezione: altra fumata nera LO SPECIALE Il caso più eclatante è quello dei 5 Stelle. È di tutta evidenza come la confrontation carsica tra il capo politico ufficiale, Giuseppe Conte, e il leader ormai storico del Movimento, Luigi Di Maio, sia esplosa in queste giornate come mai prima. E così, tra assemblee e riunioni riservate, si sono fatti e rifatti i conteggi sullo schieramento dei parlamentari…
Roma, 27 gennaio 2022 – C’è chi li chiama congressi anticipati e chi li definisce regolamenti di conti. Ma quel che è certo è che il Grande gioco del Quirinale è diventato “anche” l’occasione per duelli, sgambetti, prove di fedeltà, competizioni interne ai partiti. Esattamente come accade in un congresso, ma anche come succede quando vengono a galla linee politiche e destini personali confliggenti.
Terzo giorno di elezione: altra fumata nera
Il caso più eclatante è quello dei 5 Stelle. È di tutta evidenza come la confrontation carsica tra il capo politico ufficiale, Giuseppe Conte, e il leader ormai storico del Movimento, Luigi Di Maio, sia esplosa in queste giornate come mai prima. E così, tra assemblee e riunioni riservate, si sono fatti e rifatti i conteggi sullo schieramento dei parlamentari tra contiani e dimaiani: e i 120 e passa voti a Sergio Mattarella di ieri, secondo i beninformati, sono stati un modo di contarsi dei grandi elettori seguaci delll’ex capo politico.
E, dunque, a ben vedere, le due star del Movimento non sono solo divisi sul “chi comanda” tra i grillini, ma rappresentano due fronti opposti nelle trattative e nel voto per il Colle. Tanto è filo-Draghi il Ministro degli Esteri: e, anzi, si potrebbe dire che è un draghiano ante litteram e non a caso c’è chi ricorda l’incontro riservatissimo tra lui e l’ex Presidente della Bce proprio alla vigilia del cambio a Palazzo Chigi. Ebbene, tanto Di Maio è – o è stato – a favore della sua elezione al Quirinale, quanto è ostinatamente e visceralmente contrario l’ex Avvocato del popolo. Come se avesse atteso questo passaggio per consumare una sorta di nemesi politica nei confronti di chi ha preso il suo posto più o meno un anno fa.
E poco vale, come qualcuno gli ha rammentato, il monito di Pietro Nenni: “La politica non si fa con i sentimenti, figuriamoci con i risentimenti”. Tant’è: all’insegna del “Draghi resti a Palazzo Chigi” si è pervicacemente messo di traverso.
Certo è che la posizione di Conte crea non poche difficoltà nel rapporto tra grillini e Pd. Ma anche Enrico Letta ha avuto e ha i suoi guai interni. È noto il suo favore per l’elezione dell’attuale premier al Colle. Ma è forse meno palese che, al Nazareno, il segretario dem ha dovuto confrontarsi con il lavorio esplicito e sottotraccia di due big, come Dario Franceschini e Lorenzo Guerini, a favore di Pier Ferdinando Casini. Una divaricazione che tutti hanno tentato di mascherare, ma che non mancherà di lasciare strascichi nei mesi a venire.
Presidente della Repubblica, chi sale e chi scende
Gli strascichi (con qualche straccio) ci sono stati già, invece, in Forza Italia. Le gestione Tajani-Ronzulli della candidatura di Silvio Berlusconi e la conseguente ostilità a Draghi al Colle ha provocato l’ira dell’ala governista del partito: da Renato Brunetta a Mara Carfagna, è cresciuta a dismisura l’irritazione per le mosse delle ultime settimane. Un disappunto condiviso anche con Gianni Letta, che si è mosso per Draghi fin dall’inizio.
Più in sordina, ma non meno radicata e radicale, la contrapposizione che da mesi agita la Lega e che ha trovato modo di manifestarsi, sia pure sotto il livello dell’acqua, anche in questo delicato tornante politico. Matteo Salvini ha di fatto giocato tutta la partita Quirinale in solitaria secondo uno schema che, fino a oggi, è apparso difficilmente decifrabile anche ai più smaliziati e acuti osservatori. Il problema è che tra gli spettatori critici della sua frenetica attività ci sono anche big del calibro di Giancarlo Giorgetti, anche lui draghiano della prima ora, e i governatori leghisti del Nord: che hanno guardato con scetticismo al no del capo verso l’elezione di Draghi.
Il risultato del risiko Quirinale, che conosceremo ad horas, segnerà, dunque, anche l’esito dei molteplici redde rationem interni alle forze politiche che si sono consumati nelle fumose e affannate notti romane di questo lungo inverno. E i segni delle ferite non saranno facilmente occultabili.
Presidente della Repubblica, ipotesi Casini. Giallo Cassese
Silvio Berlusconi da giorni ricoverato all’Ospedale San Raffaele
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